Ripensare le opere di Misericordia
nella Comunione tra la Chiesa della Terra e quella del Cielo
Ci stiamo ormai apprestando a vivere un evento straordinario per tutta la cristianità: il GIUBILEO DELLA MISERICORDIA, che sarà ufficialmente aperto da Papa Francesco il prossimo 8 Dicembre e che terminerà con la successiva Domenica di Cristo Re, il 20 Novembre 2016.
Sarà quella una preziosa occasione per vivere un momento privilegiato d’incontro con la grazia del Signore che può sanare – se noi lo vogliamo – le ferite più profonde dell’animo umano.
Lo sappiamo bene, però: i grandi eventi non devono mai essere dei fulmini a ciel sereno. Il rischio, altrimenti, è quello di rimanere a un livello meramente emotivo che, seppure importante, necessita però di essere molto più approfondito.
Il Giubileo, allora, è soprattutto un’occasione per rimotivare ciò che è già presente nella nostra vita di fede, solo che, talvolta, tende a passare inosservato. Troppo poco spesso, infatti, ci capita di soffermarci su quelle che la tradizione della Chiesa ha chiamato «opere di misericordia», suddividendole tra corporali e spirituali. Ebbene, tra queste ultime c’è anche: «seppellire i morti».
L’occasione del Giubileo che sta per aprirsi, allora, può essere determinante per rivedere lo stile e le motivazioni con cui facciamo certe azioni.
L’attenzione per il defunto è innanzitutto un segno di fede: vuol dire credere nella resurrezione della carne. Il rito delle esequie stesso lo sottolinea. Basti pensare che, dopo la Messa, la salma viene aspersa con l’acqua benedetta – in ricordo del nostro Battesimo – e incensata come segno di rispetto verso quel corpo che, un giorno, sarà trasfigurato nella pienezza della vita.
Andare al cimitero, allora, è riconoscere un tempo di attesa per quel seme che viene posto nella terra affinché porti poi molto più frutto.
Il termine stesso «cimitero», non a caso, deriva dal greco e significa «dormitorio». I segni che lo caratterizzano sono tutti segni di vita: i fiori, le luci. I nostri gesti, pertanto, traducono quelle parole della Liturgia che troviamo nel Prefazio della Messa per i Defunti: «ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata».
Dovremmo allora recuperare maggiormente la profondità del segno della visita ai defunti per far sì che questa opera di misericordia possa nutrire la nostra fede ed essere testimonianza anche per qualcun altro.
Misericordia, perdono, pietà, sono tutti termini che evocano a qualcos’altro: l’abbraccio del Padre buono.
Non è un caso, allora, che la Commemorazione dei Fedeli Defunti sia intimamente legata alla Solennità di Tutti i Santi. Tenere forti certi legami dopo la morte, vuol dire anche affermare la nostra fede in quella comunione a cui si fa riferimento nel Credo ogni domenica: «credo la comunione dei Santi». Si! Celebrare tutti i santi significa ricordarsi che la santità non è qualcosa di inaccessibile, bensì l’obiettivo di ciascuno di noi. I santi sono semplicemente coloro che sono in Paradiso e, questa, altro non è che la vocazione accumunante tutti i battezzati. Quasi a dire: «o Paradiso o fallimento!».
La Chiesa è una non solo tra i viventi il pellegrinaggio terreno, ma anche con la Chiesa del Cielo di cui fanno parte tutti coloro che hanno creduto e si sono affidati alla misericordia di Dio.
E’ bello e doveroso, allora, pensare ai nostri cari, visitare le loro tombe, contare sulla reciproca preghiera affinché si manifesti sempre più quella fede in Cristo via, verità e vita.