Ormai lo sappiamo da tempo: con grande probabilità in un futuro più o meno prossimo alla Preghiera del Padre nostro diremo «non abbandonarci alla tentazione» e non più «non ci indurre alla tentazione». Questo perché nel 2008 la Conferenza Episcopale Italiana ha approvato la nuova traduzione della Bibbia nella quale, tra le molte variazioni, troviamo anche questa nella preghiera più grande e alta del cristiano.Dalla Bibbia, poi, la traduzione è passata anche ai Lezionari(i libri liturgici utilizzati per la proclamazione della Parola dall’ambone). Tuttavia, però, manca ancora un passaggio: la nuova edizione del Messale Romano (il grande libro rosso che utilizza il sacerdote per la Celebrazione Eucaristica). Tutte le preghiere della Messa, tutti i dialoghi tra prete e assemblea sono normati dal Messale: nessuno s’inventa niente!
Ora, il Messale contiene ancora la vecchia traduzione del Padre nostro, ossia quella del «non ci indurre in tentazione», e qui ecco la questione: l’assemblea segue il Messale, mentre alcuni dicono già «non ci abbandonare alla tentazione». Che senso ha? Perché voler andare di testa nostra? Lo sappiamo tutti che presto diremo «non abbandonarci alla tentazione», ma perché voler precorrere i tempi del Chiesa Italiana? Che poi, intendiamoci, a molte piace la nuova traduzione semplicemente per poter sostenere che Dio non induce in tentazione. Ma siamo proprio sicuri anche di questo? Lo sappiamo qual è l’originale greco di questo passo del Padre nostro? Lo sappiamo quante possibili traduzioni ci potrebbero essere? Lo sappiamo che non tutti sono concordi sul «non abbandonarci alla tentazione»? Certo, la Chiesa Italiana ha scelto questa nuova traduzione, ma ciò che dovrebbe appassionarci non è tanto il nostro pallino, bensì l’amore per la Parola, lo studio della Parola, la ricerca delle fonti. Che poi, dicevamo, Dio può indurre in tentazione, eccome! Pensiamo a Gesù che viene condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato (Mt 4,1): non è un chiaro esempio di come Dio possa indurre in tentazione? Pensiamo alla grande prova a cui è sottoposto Abramo al quale il Signore chiede di sacrificare il Figlio (Gen 22, 1-18): non è forse un altro esempio di come Dio possa indurre alla prova e alla tentazione? Non possiamo addentrarci ora nella questione sul perché Dio possa fare questo: ai fini della riflessione sul Padre nostro è utile sottolineare come non sia vero che Dio non induca in tentazione e come sia più importante l’amore per la Parola e il suo studio, più che i pallini di ciascuno.
Nella preghiera personale ciascuno ovviamente si rivolge a Dio come meglio crede, ma la preghiera corale ha senso solo se tutti vanno nella stessa direzione, altrimenti che preghiera corale è?
Nelle comunità, nella Chiesa, nel mondo, ci sono già tanti motivi di divisione. Il Padre nostro è la preghiera che unisce non solo i cattolici, ma anche tutte le altre confessioni cristiane! Siamo tutti consapevoli che la direzione è quella del «non abbandonarci alla tentazione», ma mentre aspettiamo i nuovi Messali, per favore, non facciamo della Preghiera che unisce tutti, la Preghiera che divide alcuni, specialmente nella celebrazione del Sacramento dell’Unità che è l’Eucaristia
Grazie!
Don Carlo e Don Federico