Vita eterna

Vita eterna: l’identità ultima dell’uomo

La morte è l’ultimo traguardo dell’uomo? Spente le candele del rito funebre o arrotolate le bandiere del funerale laico, calato il sipario sul sepolcro, resta qualcosa? O è tutto finito? Ci attende solo più il freddo del Nulla?
Bisogna dare una risposta a queste domande, almeno per aver un motivo per vivere.

Il problema dell’aldilà si è posto drammaticamente per tutte le culture, dalle più antiche fino ad oggi. Che cosa sono le Piramidi se non una pallida sfida alla morte? Nelle culture orientali, induista e buddhista, si scantona nella reincarnazione. E nella nostra cultura iper-tecnologica, c’è chi si fa surgelare per essere poi richiamato in vita quando la scienza garantirà ulteriori scampoli d’esistenza.

È significativa una recente ricerca sociologica sulla religione in Italia, condotta dai professori Garelli, Guizzardi e Pace, pubblicata dalla Casa editrice Il Mulino. Interrogati sull’aldilà, il 40% ha risposto che “qualcosa c’è, ma non so cosa”, mentre il 16,80% è sicuro che la morte è la fine di tutto. Ma alla domanda: “Credi nella risurrezione del corpo”, solo un risicatissimo 0,37% risponde di sì. Eppure quanti italiani, nel professare il Credo alla Messa affermano: “Credo nella risurrezione della carne, nella vita eterna. Amen”.

Il tema della risurrezione dei morti è centrale nel cristianesimo. Eliminarlo è tradire la promessa di Cristo. Già la prima comunità cristiana se lo poneva in termini sofferti, tanto che lo stesso Paolo intervenne di autorità presso la comunità di Corinto: «Noi predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti. Allora, come mai alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti? Ma se non c’è risurrezione dai morti, neppure Cristo è risuscitato, e la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore, è un’illusione. Anzi, finiamo per essere falsi testimoni di Dio» (Lettera ai Corinzi, 15, 13-17).
Sulla risurrezione di Cristo e dei morti si gioca il cristianesimo, soprattutto oggi, nella cultura occidentale.

«Diecimila anni? Che noia!»

C’è un’obiezione che sovente si sente. Ma questa eternità passata a ‘cantare le lodi di Dio’, ad ‘agitare le palme della vittoria’, non finirà per annoiarci? Un sospetto avanzato da intellettuali doc, da Gide a Simone de Beauvoir a Motherlant, ecc., Frossard risponde: «Cartesio temeva effettivamente di annoiarsi a contemplare Dio per diecimila anni. Non ha mai avuto l’idea chiara e distinta che Dio potrebbe annoiarsi molto prima a contemplare Cartesio?». E con un filo di ironia, C.S. Lewis nota: «Non c’è bisogno di ridicolizzare la speranze del cielo dicendo che non vogliono passare l’eternità a suonare l’arpa, perché tutte le immagini scritturali (arpa, corone, oro) sono un tentativo puramente simbolico di esprimere l’inesprimibile. Chi prende questi simboli alla lettera potrebbe allo stesso modo credere che quando Cristo ci disse di essere come colombe, intendesse che avremmo dovuto anche deporre le uova».

La visione beatifica non consiste in un possesso immobile, rattrappito, bensì in un processo di scoperta sempre nuova fondato sulla inesauribilità divina. Ciò comporta l’instaurazione di una vitalità senza limiti con un senso sconfinatamente dinamico, modellato su quell’infinito turbine di vita e di novità che è la Trinità. «Il paradiso è soprattutto un’avventura, un’avventura di gioia che consiste nella esplorazione di Dio» (F. M. Moro). È un immergersi senza fine nelle inesauribili ricchezze del mistero di Dio.