In questi giorni molto si è discusso – e altrettanto si discuterà – sull’azione effettuata dall’elemosiniere di papa Francesco, cardinale Konrad Krajewski, che ha ripristinato la fornitura di corrente elettrica, un bene essenziale per una vita dignitosa, ad un palazzo occupato abusivamente da qualche centinaio di persone, fra cui vecchi, donne, bambini e persone malate. Molti, anche fra gli stessi cattolici, si sono interrogati se tale gesto non incoraggi l’illegalità. Per non parlare poi, sempre di questi giorni, dell’ignobile striscione di Forza Nuova: “Bergoglio come Badoglio. Stop immigrazione”, che paragona Jorge Bergoglio a Badoglio, il personaggio che nell’immaginario italico è divenuto tristemente famoso come simbolo universale del tradimento più ignominioso. Anche questo accade, in tempi di buio morale e culturale come quelli in cui viviamo, che personaggi loschi, che si ispirano agli ideali del fascismo, trovino la sfrontatezza di impartire lezioni sulla Cristianità e i suoi valori, affermando che il compito prioritario (esclusivo?) del Santo Padre sia di salvaguardare il deposito della Fede, promuovendo Dottrina e Verità e non certo incoraggiare l’accoglienza verso gli immigrati, identificati come la principale iattura della nostra società. Insomma, Papa Bergoglio sarebbe, a loro dire, un vero traditore della Cristianità e dei suoi valori!
Ma per tornare al gesto disperato compiuto dal Cardinale Konrad Krajewski, davvero lo dobbiamo considerare come illegale? E in che senso? Se ci pensiamo bene era proprio questa una delle accuse principali rivolte a Gesù dalle Autorità del suo tempo: non è illegale fare cose, anche se a fin di bene, il sabato? Come cristiani che si sforzano di vivere alla sequela di Gesù dovremmo tutti quanti, ciascuno nell’intimo del proprio cuore e alla luce del Vangelo, cercare di dare una nostra risposta a questo interrogativo, che in modo più fondamentale e generale potremmo riformulare così: nella vita cristiana è preminente il rispetto della Regola Formale sul fare del Bene a qualcuno? Per aiutarci a riflettere su questa delicata questione riporto una sintesi, opportunamente riadattata, di un bellissimo articolo del prof. Tommaso Greco dell’Università di Pisa (articolo originale disponibile al seguente link: https://endoxai.net/2016/11/21/la-giustizia-del-crocifisso/).
“C’è una giustizia che sfida tutte le altre e si colloca là dove queste segnano il passo. Le categorie del nostro pensiero ci hanno abituato a cercare la giustizia nella “conformità alla legge” oppure nel “dare a ciascuno il suo”, ma non sempre legalità e uguaglianza (formale o sostanziale che sia) producono automaticamente quella giustizia di cui gli uomini hanno sete. E’ nella quotidianità delle vite ‘normali’ che l’applicazione di una regola, seguendo un meccanismo in base al quale si finisce per guardare alla regola più che alla vita, produce spesso decisioni che percepiamo come ingiuste. Ma non può che essere così: questa è la logica delle regole, questa la logica del diritto. La giustizia che va oltre vuole invece guardare alla vita prima che alla regola; e non in spregio al senso delle regole, ma perché nella vita c’è qualcosa che alle regole sfugge o di cui le regole non si occupano. C’è qualcosa che le regole — e la giustizia ad esse legata — non vedono. L’atto di giustizia si presenta a noi come «ciò che non può attendere»: la decisione giusta è richiesta “immediatamente, subito, il più presto possibile”, dato che la situazione non ammette l’informazione infinita e il sapere senza limiti delle condizioni. È la situazione nella quale si trova il buon Samaritano della novella evangelica, suprema esemplificazione della giustizia come carità: non c’è tempo per farsi domande, per chiedersi ad esempio chi sia il soggetto che si trova moribondo sul ciglio della strada e perché si trovi in quella condizione. C’è solo da decidere se scendere da cavallo e prestargli aiuto, oppure passare avanti come hanno fatto tutti gli altri.
Nella giustizia ‘giuridica’ io mi sento obbligato soltanto in presenza dei diritti degli altri e perciò se non ci sono diritti non ci sono obblighi. Invece nella giustizia ‘carità’ il mio obbligo non è determinato dal diritto bensì dal bisogno dell’altro. È una giustizia che non fa dormire sonni tranquilli, quella della carità: essa ci interroga incessantemente, perché incessantemente ci interroga la vita.
Ci sarà sempre bisogno di una giustizia che richieda carità e sacrificio, perché la legalità e l’uguaglianza non potranno mai colmare tutti i bisogni di giustizia che assetano l’animo umano. “Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore […] Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, § 28).
La carità e l’amore possono arrivare dove la legalità è costretta ad arrestarsi. Il Cristo Crocifisso simboleggia questo amore, raffigura questa giustizia. Dice ad ognuno di far spazio all’altro, di prendersene cura se ha bisogno. È un invito a uscire da se stessi, a lasciar da parte prepotenza e arroganza. È un simbolo di misericordia, che ci ricorda di essere misericordiosi.
Personalmente ho riflettuto molto sul gesto compiuto dal cardinale Konrad Krajewski e su quelli di tanti nostri fratelli (laici e sacerdoti) che con coraggio e passione, contro il pregiudizio e l’ostilità di molti, cercano di realizzare ogni giorno il Regno dei Cieli, su una giustizia fondata sulla carità. Tutte le volte che penso alla loro missione non posso fare a meno di pensare alle parole di Gesù, che ognuno di noi dovrebbe fare proprie, per non rischiare di indurire il cuore verso chi si fa nostro prossimo: ”Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,10-12).
Juri Riccardi