(16 Novembre 2025)
«Sei tu, mio Signore, la mia speranza» (Sal 71,5)
Sintesi del Messaggio di Papa Leone XIV
«Sei tu, mio Signore, la mia speranza». Queste parole del Salmo 71 nascono da un cuore oppresso dalle difficoltà, ma saldo nella fede: «Mia rupe e mia fortezza tu sei». Da questa certezza scaturisce la fiducia che la speranza in Dio non delude: «In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso». In mezzo alle prove della vita, la speranza è animata dall’amore di Dio riversato nei cuori dallo Spirito Santo; essa non delude, perché si fonda su un Dio vivente, «Dio della speranza», che in Cristo è diventato «nostra speranza».
Il povero può essere testimone di una speranza forte e affidabile, proprio perché la sua vita è segnata da fragilità ed emarginazione. Egli non conta sulle sicurezze del potere e dell’avere, ma affida tutto a Dio. Riconoscendo in Lui la propria unica speranza, il povero ci invita a passare dalle speranze effimere alla speranza che non tramonta. Dinanzi al desiderio di avere Dio come compagno di strada, le ricchezze perdono valore e si scopre il vero tesoro: «Accumulate tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano».
La più grave povertà è non conoscere Dio. Come ricorda Papa Francesco, «la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale». Tutti i beni materiali non bastano a rendere felice il cuore: «Tutta la tua speranza sia Dio», ammoniva Sant’Agostino, «senza di Lui qualunque cosa avrai servirà a renderti ancora più vuoto».
La speranza cristiana è certezza nel cammino della vita, perché si fonda sulla promessa di Dio. È come un’ancora che fissa il cuore sulla salvezza di Cristo morto e risorto, e apre all’attesa dei «nuovi cieli e della terra nuova». Questa speranza non è evasione, ma impegno: la città di Dio ci spinge a costruire città degli uomini che le somiglino. Fede, speranza e carità sono inseparabili: la speranza nasce dalla fede e si sostiene sulla carità, che è la madre di tutte le virtù. Senza carità, non solo mancano la fede e la speranza, ma si toglie speranza anche al prossimo.
Il richiamo alla speranza comporta dunque un impegno concreto nella storia. La carità è il più grande comandamento sociale e richiede di affrontare le cause strutturali della povertà. Nel frattempo, siamo chiamati a creare segni di speranza: case-famiglia, centri di ascolto, mense, scuole popolari, opere di accoglienza. Sono segni spesso nascosti, ma preziosi per scuotere l’indifferenza e stimolare alla solidarietà. I poveri non sono un diversivo per la Chiesa, ma i fratelli più amati: con la loro vita e la loro sapienza ci aiutano a toccare la verità del Vangelo. Per questo la Giornata Mondiale dei Poveri ricorda che essi sono al centro non solo della carità, ma anche dell’annuncio e della celebrazione.
La celebrazione del Giubileo invita a custodire e trasmettere i doni ricevuti. I poveri non sono oggetti della pastorale, ma soggetti creativi che ci provocano a vivere oggi il Vangelo. Aiutare il povero è questione di giustizia prima ancora che di carità. Come scrive Sant’Agostino: «Tu dai del pane a chi ha fame, ma sarebbe meglio che nessuno avesse fame». Lavoro, istruzione, casa e salute sono le vere condizioni di sicurezza, che non si raggiungono con le armi.
Infine, il Papa affida tutti a Maria Santissima, Consolatrice degli afflitti, e invita a elevare con lei il canto della speranza: «In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum – In te, Signore, ho sperato, non sarò mai deluso».
